IL FANTASMA AL CINEMA

Dopo 14 anni di gestazione, ed altri cinque musical messi in scena nel frattempo, Andrew Lloyd Webber ce l'ha fatta a portare sul grande schermo il suo capolavoro, quel "The Phantom of the Opera" che dal 1986 continua a sbancare botteghini, incassare milioni di dollari, e a far sognare le platee.

L'alchimia teatrale è presto spiegata: una storia solida, che vaga nell'immaginario collettivo da quasi cent'anni; ambientazioni ricchissime e curate in ogni dettaglio; effetti e trucchi scenici che lasciano a bocca aperta; e, soprattutto, una partitura che più bella e furba non si può, un mix di generi e stili che spazia dal belcanto all'opera, dal rock al pop, condito da un'orchestrazione sontuosa.

La vera scommessa era portare questa macchina teatrale perfetta al cinema, mantenendo lo spirito ma adattandolo al grande schermo. A conti fatti, direi che l'operazione è riuscita bene. Dopo anni di contese, conferme e smentite (c'è addirittura un comitato web che ha lottato per più di un decennio per portare Michael Crawford, il primo Fantasma a Londra e a Broadway, a sostenere il ruolo anche nel film, ma invano) nel 2002 il progetto ha preso finalmente corpo con la regia di Joel Schumacher, la supervisione e sceneggiatura dello stesso Webber e un cast giovane e relativamente sconosciuto: Gerard Butler (Phantom), Emmy Rossum (Christine) e Patrick Wilson (Raoul).

La storia è nota: una giovane ballerina del Teatro dell'Opera di Parigi, Christine, prende il posto della diva eccentrica e capricciosa Carlotta (Minnie Driver) grazie alle mosse e alla volontà di un misterioso maestro di canto, che Christine crede sia il suo "Angelo della musica" mandato dal padre defunto, mentre in realtà è il misterioso Fantasma che vive nei sotterranei del teatro e che si è innamorato della giovane Christine. Il Fantasma la rapirà, scriverà un'opera per lei, la lascerà andare, ma dovrà fare i conti con il visconte Raoul e il suo amore per Christine. Divisa tra la pietà per il Fantasma e l'amore per Raoul, Christine farà la sua dolorosa scelta.

Ma veniamo al film. La trasposizione da teatro al cinema è fedelissima, e grazie al cinema lo spazio scenico "esplode" in tutte le direzioni, dai più profondi recessi del Teatro dell'Opera fino alle guglie del tetto, passando per corridoi, cunicoli, gallerie, camerini e saloni fiabeschi. C'è la gag della pancia dell'elefante in "Hannibal" – l'opera che apre il film - ci sono le botole, i cunicoli, i candelabri che salgono dal lago sotterraneo e che rifanno sullo schermo una delle più suggestive scene che si siano mai viste su un palco; c'è il magnifico lampadario che nella splendida sequenza d'apertura, in uno sgranato bianco e nero, sale sempre più su e con la sua luce rimette a nuovo il teatro... Come a teatro, infatti, il film è raccontato in un lungo flash-back, ma rispetto a teatro c'è un'imprevista scena finale aggiunta che "chiude" la sequenza iniziata con l'asta, che a teatro magari si immagina solo, ma vista esplicitata sullo schermo fa venire il magone. Altre esigenze di sceneggiatura hanno reso necessarie alcune variazioni e piccoli tagli, ma l'effetto non cambia.

La messinscena è favolosa; e la colonna sonora, rimessa a nuovo per l’occasione, rivista qua e là e aggiunta di una canzone inedita sui titoli di coda ("Learn to be lonely", cantata da Minnie Driver, già candidata ai Golden Globe), brilla di una luce nuova, con un sound decisamente più moderno e pieno. "Primadonna" e "Masquerade" sono semplicemente da antologia; specialmente il secondo, che a teatro è un caleidoscopio di colori e maschere, nel film è risolto con un effetto "Vogue" in bianco e nero che nulla toglie alla spettacolarità del quadro e che sfrutta al meglio l’orizzontalità dello schermo; e quando il Fantasma compare in rosso sulla cima della grande scalinata, il contrasto a effetto è assicurato. "The phantom of the opera" si svolge come se fosse fuori dalla realtà, un lungo sogno, ovattato. "The point of no return" è forse il pezzo migliore del film, sensuale, quasi erotico, tutto virato al rosso. Ma, come dicevamo, tutto il film è opulento, sontuoso, "titanico".

Ma i dubbi e le perplessità albergavano nel discusso adattamento italiano e nella scelta delle voci. Scommessa vinta, non c'è dubbio: il lavoro fatto e rifatto da Giovanni Baldini, Fiamma Izzo (direttrice del doppiaggio e doppiatrice a sua volta di Carlotta) e Franco Travaglio è ottimo. Considerando che c’era il sincronismo con le labbra da rispettare, per non parlare del significato stesso e della musicalità dei versi, il risultato è davvero egregio. Certo, c'è da dire che nel primo quarto d'ora il sincrono con i movimenti delle labbra lasciano più volte a desiderare (vedi "Think of me"), ma dopo il film comincia a "volare" alto, la musica avvolgente e la trama ti inghiottono e ti lasciano senza respiro e, come ha dichiarato Lloyd Webber, il Fantasma sembra scritto in italiano. L'adattamento in italiano scorre naturale e fluente, le soluzioni linguistiche poco tolgono all'originale; e FINALMENTE non si sentono elisioni e troncature fastidiose e versi che finiscono al futuro. Sono convinto che se il team di traduttori avesse avuto più tempo e calma, il lavoro - già ottimo - sarebbe stato di gran lunga superiore, ma si sa che i ritmi cinematografici sono sempre molto stretti.

Le voci, dicevamo. Renata Fusco/Christine brilla di perfezione cristallina; Luca Velletri/Phantom tratteggia un fantasma tormentato, virile, passionale e sanguigno; Pietro Pignatelli mette le sue doti vocali al servizio di un personaggio, quello dell'innamorato Raoul, privo nel film di grandi sfumature emozionali. I comprimari sono delle vere e proprie macchiette parodistiche, vedere per credere la scena delle lettere che sfocia poi in "Primadonna".

Un film da gustarsi da cima a fondo, per sognare, emozionarsi, commuoversi anche. E magari da rivedere. In attesa della prossima trasposizione di un musical di Webber, che questa volta può essere davvero l’attesissimo "Sunset Boulevard".

Francesco Moretti

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