IL SOTTILE EQUILIBRIO DEL VIOLINISTA SUL TETTO Gennaio 2003 Incontro Moni Ovadia
nel camerino del teatro Comunale di Monfalcone, pochi minuti prima del suo
"Violinista sul tetto". Avevo visto lo spettacolo la settimana prima a Trieste,
al "Rossetti", e confesso che mi aveva lasciato perplesso. Vuoi per la fluviale
lunghezza (quasi tre ore e mezza, il primo atto da solo ne dura due), vuoi per la
dibattuta traduzione in yiddish delle canzoni che, almeno per me, non giovano alla
scorrevolezza dello show. Tuttavia, dopo queste quattro chiacchiere, che Ovadia ha
scambiato con me nonostante la fretta ("Facciamo in ogni caso lintervista, lei
mi ha aspettato e non è giusto che ritorni", mi dice. "Però nel frattempo
dovrò prepararmi per la serata, non le dispiace, vero?"), ho rivalutato questo show,
con la sua poesia, la sua ironia, la malinconica rassegnazione che regna nellanimo
di Tevje, il lattaio ebraio protagonista del musical. "Il violinista sul tetto" è uno spettacolo a cui assistere preparati, dunque, per poter coglierne appieno ogni sfumatura, ogni colore, ogni nota, e lasciarsi trasportare dalla disarmata e illuminata saggezza di Tevje nellaffrontare il destino. Di questo, e di altro, abbiamo parlato con Moni Ovadia. Dunque, ho letto che ci sono voluti ventanni per portare "Il violinista sul tetto" sui palcoscenici italiani... Bè... io non è che bramavo per fare "Il violinista sul tetto", però la ragione di tutto questo tempo è semplice, ed è che faccio del teatro mio. Il mio teatro non è certo canonico, è fatto a tratti con strumenti dellaffabulazione, a tratti con strumenti simbolici, a tratti con modalità frammentarie, come una memoria che si rinnova... diciamo che lo spettacolo stilisticamente più mio è "La mamma". Però è chiaro che questo musical, a cui rimane ben poco di musical perché lo abbiamo trasformato in una sorta di teatro europeo, ho accettato di farlo perché mi occupo di questa cultura, che fa parte della mia vita artistica e personale... e a chi toccava farlo, in fin dei conti, se non a me? Ci voleva anche un produttore coraggioso, che si chiama Lorenzo Vitali, che ne ha fatto uno spettacolo di grandissimo successo, anche dal punto di vista degli incassi. Ma la geniale idea di portare i musicisti in scena, a partecipare allazione, chi lha avuta? Vede, io sono quindici anni che lavoro con i musicisti in scena... Il musicista in scena, il musicista-attore è proprio lo specifico del mio teatro. Era il 1979, circa, quando ho cominciato a farlo, poi ho fondato la TheaterOrchestra e combattuto una battaglia pluridecennale per riuscire ad arrivare a questi livelli, un passetto dopo laltro. Veniamo alle traduzioni in yiddish dei testi delle canzoni... Guardi, questa lingua è stata assassinata insieme alla sua gente...E passata dallessere una lingua parlata da undici milioni di locutori, lingua vivissima, a essere pian piano parlata solo in ambiti piccoli. Noi siamo un piccolo gruppo di tessitori che cerca di portarla avanti... Allora io non avrei mai potuto fare "Il violinista" in inglese, e in italiano men che meno... Perché questo mondo parlava in yiddish, e lo yiddish non è una lingua traducibile, in quanto è una lingua di esilio, che contiene altre lingue, un po lingua letteraria e un po dialetto, così cosmopolita... Ho fatto perciò questa scelta, fidandomi dellintelligenza del pubblico, anche se qualche mugugno cè stato. Ma io sono anni che lavoro con lo yiddish, perciò... sono molto felice di questa scelta, tra laltro apprezzata dalla stragrande maggioranza del pubblico. Luso dei sopratitoli avrebbe giovato alla comprensione, però... No, perché la gente avrebbe fatto su e
giù con la testa per leggere la traduzione, sono totalmente contrario ai sopratitoli. Per
questo abbiamo fatto un bellissimo programma di sala, dove si trovano, su quattro colonne,
i testi delle canzoni trascritte con i caratteri ebraici, la loro traslitterazione -
casomai qualcuno un domani volesse cantarsi qualcosa in yiddish -, loriginale
inglese del musical e la traduzione in italiano. E poi le canzoni sono inerenti al tema,
si integrano nella trama, fosse tutto lo spettacolo in yiddish capirei, ma così... Si. Vede, io faccio un piccolo lavoro, di cui vado orgoglioso: portare in questo paese, che tanto ne ha bisogno, un po di cosmopolitismo. E in una Europa che si sta aprendo, soprattutto allest, io sto cercando con forze molto modeste di costruire una forma di teatro europeo. Ci vuole molto, molto lavoro, ma il fatto di riempire i teatri con questo spettacolo forse è già un segno, significa che la gente è curiosa... Ma a quanti si avvicinano al suo tipo di teatro, con questo musical, per la prima volta, che cosa consiglia? Consiglio di non abituarsi! Cioè, di pensarlo come qualcosa di mio, ma senza pensare di aver visto tutto!
|