EVITA, LA
SANTA DEL POPULISMO
"Instead of government we had
a stage/Instead of ideas a prima donna's rage/Instead of
help we were given a crowd/She didn't say much but she said
it loud" (Non avevamo un governo ma un
palcoscenico/Non idee ma i capricci di una primadonna/Nessun
aiuto, ci propinavano una
folla/Non disse molto ma lo disse ad alta voce). Sortisce un effetto spiazzante l'attualità quasi preveggente
delle parole che il narratore di Evita
riferisce alla parabola populistica della first lady
argentina, ma che potrebbero benissimo descrivere l'attuale
regime mediatico berlusconiano, sostituendo le piazze
gremite e i discorsi ascoltati in religioso silenzio
alla radio, con le platee
televisive e il culto della personalità dei nostri telegiornali di
regime. Del resto tutti i governi di stampo populistico, con
le debite differenze legate al contesto storico e geografico
(Evita però aveva molto più fascino, stile e coraggio di
certi suoi epigoni moderni...), ricercano il consenso con la
mistificazione di battute ad effetto, la creazione di nemici
su cui scaricare la responsabilità di uno status quo indifendibile. Suppliscono
all'incapacità di governare col carisma, abilmente creato tramite uno studio
raffinato dell'immagine. In breve si cerca di tirare a
campare, non si guarda oltre "questa o la prossima settimana",
la popolarità del momento è preferita a politiche
lungimiranti,
e la santificazione di Eva in seguito agli effetti
miracolistici della sua Fondazione fa pensare ai moderni
sondaggi, che premiano le passerelle del
politico di turno accanto a
vittime di attentati, inondazioni, terremoti. E guarda caso è proprio
ad un concerto benefico per le vittime di un terremoto
che Peron si improvvisa salvatore dell'Argentina, ed incontra
l'attrice Eva Duarte, che saprà guidarlo alla Presidenza e
tenerlo saldamente al potere tramite una leadership
di cartapesta, fasulle promesse di riscatto e lacrimucce.
Si presta a questa e ad altre interessanti letture la
meravigliosa produzione della rock-opera di Andrew Lloyd
Webber e Tim Rice andata in scena in alcune fortunate
città italiane (dopo il debutto al Rossetti di Trieste a cui
abbiamo assistito, lo spettacolo è andato in scena a Firenze
e Forlì) che mostra al pubblico tricolore come il melodramma
si è evoluto. A dirla con Corrado Augias infatti
"Evita non ha assolutamente nulla da invidiare all’opera di
Puccini" e ci sentiamo di suggerire ai polverosi teatri
lirici italiani di uscire, anche solo per un titolo a
stagione, dal museo delle cere delle solite Traviate ed
ennesime Aida, per esplorare gli addentellati moderni del
teatro musicale (vero teatro e vera musica, non presunte opere
'moderne' o 'popolari' su basi preregistrate...). La qualità di questa
Evita è infatti illuminante ed istruttiva. In primis sfoggia
un'orchestra impeccabile che non risente per nulla della
dimensione tour (spesso qui ci raccontano la favola per cui
sarebbe impossibile a livello logistico girare con un
ensemble orchestrale, ma dove?), in cui ogni strumento si
sente alla perfezione, senza mai coprire le voci di cui si
percepisce ogni singola sillaba, come ahinoi non succede
quasi mai
in Italia. Il cast è eccellente, a partire dalla superlativa
Eva di Abigail Jaye, che affronta un ruolo onnipresente ed
esigentissimo nella partitura, nella coreografia
e nell'interpretazione. Mark Powell/Che è convincente,
graffiante senza essere però mai troppo arrabbiato, come
prevede la
nuova interpretazione registica figlia della pellicola di
Alan Parker. Eccezionalmente in parte Mark Heenehan, un
Peron carismatico, cinico, opportunista, che fornisce la prova attoriale di maggior spessore. Da urlo tutto il resto della
compagnia, dai comprimari all'ensemble, fino ai
professionali bambini triestini impegnati nelle scene
corali. Spettacolare, imponente ed estremamente teatrale l'allestimento
scenografico di Matthew Wright, che ci insegna che per
emozionare non sono necessari troppi elementi kitsch, ma bisogna saper utilizzare
(ed illuminare) in maniera efficace i vari ambienti,
creando soluzioni sempre nuove e movimenti
d'effetto, il tutto orchestrato da una forte idea registica.
E di trovate geniali la regia di Bob Tomson e Bill Kenwright
(anche produttore) ce ne offre a piene mani, dall'immagine
di Eva che appare in trasparenza dalla sua celebre icona, al
gioco di specchi mobili di Rainbow High, alla scena del
funerale che apre e chiude circolarmente l'opera, con il Che
che alla fine si arrende suo malgrado all'irresistibile e
controverso fascino di Eva. Dato il giusto tributo
alle immortali melodie Lloydwebberiane, Evita è soprattutto
un libretto costruito con arguzia che parla di politica,
potere e sociologia, attraversato da un'ironia caustica, da
una critica feroce al pragmatismo di una donna ugualmente
innamorata del potere e del successo, come della sua gente e
del suo uomo. In questo senso "You Must Love Me",
cantata da Eva a Peron (diversamente dalla scena
cinematografica meno efficace), diventa quasi una
riabilitazione, anche se la mirabile capacità di Tim Rice di
dire e non dire riveste ogni lirica di un'ambiguità plurisemantica,
regalando una chiarezza e un'efficacia che nessun altro liricista
nella storia del musical può vantare: "Why are you at my side?/How can i be
any use to you now?/Give me a chance, and i'll let you see
how/Nothing has changed/Deep in my heart, i'm concealing/Things
that i'm longing to say/Scared to confess what i'm feeling/Frightened
you'll slip away/You must love me" (Perché sei al
mio fianco?/Come posso esserti d'aiuto ora?/Dammene la
possibilità e ti dimostrerò/Che niente è cambiato/In fondo
al cuore nascondo/Cose che vorrei poter esprimere/Ho paura
di confessare cosa provo/Ho paura di perderti/Devi amarmi).
Al calare del sipario, con le lacrime agli occhi, ci
rendiamo conto di conoscere Eva, con tutte le sue
sfaccettature. Le sue cadute e i suoi voli, la sua santità
umanissima e la sua fragilità irresistibile di donna e di eroina
storica compongono un personaggio travolgente, lontano anni
luce da certe pallide, bidimensionali, figurine da musical.
Concept-musical sul populismo? Bio-show tra l'agiografico e
il vetriolo? Rock-opera? Tutte queste cose insieme, e molto
altro. Evita è Teatro Musicale. Quello vero.
Franco Travaglio
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