GIUDIZIO UNIVERSALE, LA CULTURA SI FA SPETTACOLO

 

“Artainment segna la nascita di un nuovo genere: mettere in connessione il fascino e la bellezza delle più grandi opere d’Arte con i codici emozionali e coinvolgenti dello spettacolo.” Questo l’obiettivo dichiarato dalla nuova società di produzione dietro a “Giudizio Universale”, l’evento culturale in scena all’Auditorium della Conciliazione in Roma dal 15 marzo a data da destinarsi (stile Broadway). All’uscita dalla sala, rinnovata e rivestita di pannelli per un’immersiva proiezione a 360 gradi, si deve riconoscere non si tratta solo di un proclama promozionale. La missione è stata portata lodevolmente in porto: si rimane più di un’ora a bocca aperta, nonostante l’evento non conceda molto alla spettacolarità strettamente teatrale: a parte l’accuratezza di costumi e scene, non ci sono coreografie mozzafiato, canzoni orecchiabili, cori verdiani o dialoghi particolarmente d’impatto, e l’apporto di un mostro sacro della prosa ‘impegnata’ come Gabriele Vacis non sposta il baricentro su una drammaturgia troppo complessa.

Siamo invece di fronte a una esplorazione, a metà tra il documentario multimediale alla Alberto Angela e la Storia vissuta in ‘realtà aumentata’, che tiene alto il livello culturale senza mai scadere nel didascalico e segue la vicenda artistica di Michelangelo, a partire dalla creazione del David che prende letteralmente vita da un enorme blocco di marmo che ruota, si deforma, si apre, cambia colore e forme. E’ la prima sorpresa di una lunga sequela: si passa poi alla commissione papale della Cappella Sistina per finire allo stesso Giudizio, realizzato da un Michelangelo ormai anziano.

Ogni pannello della Cappella viene analizzato e descritto nei minimi particolari: grazie alle possibilità infinite della grafica entriamo letteralmente nei singoli affreschi e ne cogliamo ogni sfumatura. Quando il palcoscenico esce dal boccascena, e si allarga in tutte le pareti, il soffitto e parte della platea si compie il miracolo: ci sentiamo davvero all’interno dell’opera d’arte e diventiamo un tutt’uno con la creazione del geniale artista toscano.

Grande orchestratore delle creazioni video è Luke Halls, che ha lavorato per artisti del calibro degli U2, i Genesis, Adele, Beyoncé, e nei crediti compare anche Sting, che ha però solo musicato (senza infamia né lode) un segmento di Requiem con cui lo show si conclude, mentre la colonna sonora complessiva è creazione di John Metcalfe, già produttore di U2, Coldplay, Peter Gabriel e Blur.

In scena, diretti dal super esperto in grandi eventi Marco Balich (sua la cerimonia inaugurale di Torino 2006 e di un'altra ventina di olimpiadi) una manciata di artisti (tra cui il performer Christian Ruiz), ma per probabili ragioni di marketing si è voluta affidare la voce dell’artista a un nome celebre come Pierfrancesco Favino, e altri personaggi a grandi doppiatori come Ennio Coltorti e Luca Biagini. E’ forse l’aspetto meno riuscito di un’operazione quasi perfetta: le voci fuori campo, sovrapposte ad attori a bocca chiusa, sortiscono un effetto eccessivamente straniante.

Sarà davvero Universale questo Giudizio? Durerà molti anni, come a Broadway? Presto per dirlo. Sicuramente, rispetto ad altri progetti altrettanto ambiziosi ma fallimentari (ogni riferimento a “Nerone” è puramente intenzionale…), i produttori di Giudizio Universale hanno tenuto i piedi per terra. Il cast in carne ed ossa non è numeroso, il prezzo dei biglietti è a misura di famiglia e di turisti, e invece di creare improbabili arene in luoghi sensibili del patrimonio archeologico hanno utilizzato uno spazio esistente, già dotato di tutti i confort, e soprattutto situato in posizione strategica, dietro a San Pietro, pronto ad attirare le comitive di turisti, da sempre bacino imprescindibile per ogni produttore di intrattenimento dal vivo che abbia l’intenzione di creare business dall’arte e dai grandi eventi culturali.

Franco Travaglio